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Una novità nel panorama dell’editoria

Perché una nuova rivista?

Perché “ International Journal of Migration and Transcultural Medicine ” può, forse, rappresentare una novità nel panorama editoriale, per almeno due motivi. Il primo è determinato dal campo di interesse della Rivista, costituito da tutte le problematiche attinenti alle condizioni delle popolazioni che, a vario titolo, si spostano in altri paesi: immigrati, rifugiati, richiedenti asilo politico, esuli, lavoratori in transito, viaggiatori, turisti, ma anche di quelle fasce di popolazione italiana a rischio di emarginazione come persone senza fissa dimora e i pensionati a reddito minimo. Il secondo motivo di novità è costituito dalla molteplicità delle discipline che potranno trovare spazio ed approfondimento nella Rivista, dalla medicina alle scienze sociali, dall’antropologia alla giurisprudenza, dalla psicologia all’economia e alla storia. La conoscenza e lo studio di qualsiasi problematica relativa alle popolazioni migranti, con particolare riguardo agli aspetti sanitari, non può, oggi, prescindere da un approccio scientifico interdisciplinare, nel senso più ampio della parola.

In questo contesto, la rivista vuole offrire un punto di riferimento per una aggiornata, completa e moderna rassegna di pubblicazioni originali e di nuove applicazione nelle discipline interessate.

La Rivista intende, inoltre, far conoscere e promuovere le attività dell’Istituto Internazionale di Scienze Mediche Antropologiche e Sociali (I.I.S.M.A.S.), Onlus costituitasi nel 2002, attiva nel campo della ricerca medica e nell’approfondimento delle problematiche legate al fenomeno migratorio ed all’emarginazione sociale. L’Istituto promuove e cura la realizzazione di interventi volti allo studio, alla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia, alla riabilitazione, alla cura e all’inserimento nel tessuto sociale delle persone emarginate migranti e italiane, sia sotto il profilo medico che socio-culturale.

L’“ International Journal of Migration and Transcultural Medicine ” ospita testi didattici e di aggiornamento, rassegne critiche, note tecniche e lettere di commento ad articoli precedentemente pubblicati.

Tutti gli articoli, lettere escluse, saranno esaminati da un pool di qualificati referees internazionali.

Ogni numero riporta anche notizie di attualità scientifica, notizie sull’attività dell’I.I.S.M.A.S. e recensioni di libri. I Supplementi ai numeri ordinari sono di natura monografica o raccolgono atti di congressi.

E’ possibile, inoltre, la pubblicazione di editoriali, richiesti dal Direttore e correlati ad articoli pubblicati nello stesso numero.

Aldo Morrone

Paola Scardella

International Journal of Health, Culture and Migration

Numero zero

Rivista n. zero

31/03/2005

editoriale Daniela Daniele

Perché una nuova rivista?

Per creare un ponte tra l’IISMAS e la gente. Certo. Ma, soprattutto, per illustrare un concetto: è la paura il motore di quanto di peggio possa manifestarsi nell’animo umano. E si ha paura, soprattutto, di quello che non si conosce. Così, per imparare, andiamo a vedere. Per farci passare la paura del “diverso”, dell'”altro”, di “chi invade i nostri confini”, sconfiniamo. Viaggiamo in quelle parti del mondo dalle quali fiumane dolenti si riversano nella nostra civiltà, portandovi “immigrati”, “extracomunitari”, “clandestini”, “irregolari”. Spingendo persone a umiliarsi chiedendoci aiuto, lavoro, cura, dignità.

L’IISMAS è nato da questi viaggi, dall’esigenza, tracimata da cuori e menti, di condividere con gli altri le nostre esperienze, per cercare di fare qualcosa insieme. Insieme con voi.

Non è possibile attraversare la Cambogia , dove le rovine che ha lasciato dietro di sè Pol Pot sono ancora, simbolicamente, fumanti, e al ritorno non voler parlare con tutti dei bambini senza famiglia. Quelli che ti guardano vergognosi mentre mangi, senza chiedere nulla, per vedere se lasci del pane sul desco. Quegli stessi piccoli che, quando ordini del cibo anche per loro, non si avventano come cuccioli affamati, ma si dividono con giudizio il ben di Dio che è arrivato insieme con i turisti. Quegli stessi che, davanti alle meraviglie di Angkor Wat, ti offrono i fermagli con le farfalle per tirar su un po’ di denaro e continuare a vivere. Quegli stessi che, di notte, srotolano le stuoie di paglia e dormono sui marciapiedi di Phnom Penh. Sono gli stessi piccoli dei quali la mafia cinese e quella thailandese fanno mercato, per la miserabile passione dei pedofili o per le nutrite tasche di qualche ricco malato, bisognoso di un trapianto. E come non provare il desiderio di trasmettere a tutti l’immagine di una giovane etiopica dagli occhi tristi, a Zalambesa, sul confine con l’Eritrea, che la guerra tra i due Paesi ha diviso dai figli? Loro vivono “dall’altra parte”, con i nonni, dove c’è più miseria e dove alla mamma non è permesso andare.

O, ancora, come riuscire a visitare l’ospedale di Macallè (Etiopia) e le sue corsie dai muri scrostati e dai letti arrugginiti, senza avvertire forte il desiderio di riferire ai medici, a tutti i medici di questa parte del pianeta, in che condizioni i loro coraggiosi colleghi si trovano a lavorare, nel tentativo di strappare vite alla malattia e alla povertà?

La nostra rivista quadrimestrale (ma se avremo sovvenzioni, riusciremo a farla uscire con maggior frequenza) conterrà, soprattutto, articoli scientifici, grazie ai contributi dei medici che lavorano per l’IISMAS. Ci rivolgiamo anche agli specialisti del settore, agli intellettuali, ai tecnici, antropologi, psicologi, esperti in scienze umane, economiche, del lavoro, ma anche agli insegnanti, per far sì che la rivista diventi uno strumento di approfondimento.

E’ nelle nostre intenzioni, però, dare spazio anche a tutti gli altri temi della globalità, dai racconti di viaggio agli aspetti giuridici dell’immigrazione, dall’arte alla cucina, alla musica, alla moda etnica, alla bibliografia. Un progetto: mettere insieme tante attività ed esplorare terreni che abbracciano cultura, salute e immigrazione, attraverso esperienze, analisi, testimonianze, per fornire al lettore una visione attenta su questo nostro mondo, sempre più globalizzato.

Questi ultimi mesi sono stati terribili, sulla scia dell’11 settembre, con l’attacco alle torri gemelle: la guerra in Iraq, la ribellione cecena in Russia, che ha già fatto tante vittime, le minacce continue stanno tenendo in scacco un mondo dominato ormai dalla paura. In questo scenario molte cose sono cambiate e molte altre si sono radicalizzate, con il rischio reale di uno scontro di civiltà. Noi crediamo che la soluzione sia accogliere, con l’entusiasmo dei bambini, culture e tradizioni che non conosciamo. Per scoprire che, forse, non siamo così diversi da quelli che ci arrivano sotto casa e che hanno tanti nomi quanti sono gli angoli del globo. Per conoscere e non aver più paura. Per sentirsi nascere dentro il desiderio di chiamarci tutti, un giorno, semplicemente terrestri.

Leggi la rivista (1,62 MB)

International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 1

Volume 1, numero 1, Ottobre/Dicembre 2005

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 1

30/11/2005

Editoriale Aldo Morrone

Scrivere un editoriale sull’aereo che mi riporta da Addis Abeba in Italia, non è molto facile. Troppe emozioni, troppi sentimenti contrastanti e non ancora sufficientemente elaborati e filtrati, mi riempiono l’animo e la mente e non mi permettono una neutralità di giudizio. D’altra parte è inimmaginabile credere di mantenere un’obiettività scientifica quando si è coinvolti in passioni, emozioni, sogni lotte, successi e sconfitte.

Nel Tigray, nel distretto di Almata, ho toccato con mano la violenza devastatrice della malaria, molto più violenta dell’infezione da HIV- Aids. Una delle cause dell’aumento di questa patologia è data dalla raccolta di acqua piovana che i contadini sono costretti ad usare per irrigare i terreni e così potersi sfamare. Sembra che si sia abbattuto su di loro un cinico destino: ammalarsi di malaria o morire di fame!

Gli attacchi terroristici a Londra del sette luglio ci hanno fatto ripiombare in un incubo da cui credevamo essere usciti solo da poco. Di nuovo è partito il tam-tam politico massmediologico: fuori gli immigrati dall’Europa, dal nostro Paese. L’equazione immigrato uguale terrorista sembra più penetrare tra l’opinione pubblica. A nulla valgono i certificati britannici di nascita degli attentatori di Londra. I poteri forti colgono ogni occasione per cercare di aumentare il senso di smarrimento dei cittadini. Una volta è l’emergenza caldo, un’altra volta l’emergenza freddo, l’emergenza pit bulls, una-bomber, tsunami, influenza aviaria….

Le persone avvertono paura, incertezza sul presente e sul futuro. Si rinchiudono in casa e dentro di loro per maggior sicurezza. La precarietà del lavoro, della casa, degli affetti si somma al resto. Eppure, fino a pochi anni fa, avevano provato a convincerci che stavamo per raggiunger un benessere ed una sicurezza che mai avremmo potuto sognare o realizzare. L’illusione è finita ed i giochi di prestidigitazione sono stati scoperti. Abbiamo dovuto reimparare che la sicurezza o ce la diamo noi o nessuno può sostituirci. Non si diventa ricchi, più belli, più giovani con un colpo di bacchetta magica. La nostra personalità, la nostra sicurezza, i nostri affetti si costruiscono giorno dopo giorno, con sacrifici, con battaglie, alcune vinte altre perse. È il difficile e affascinate cammino del quotidiano che ci può aiutare a cogliere lo straordinario che è dentro di noi o accanto a noi e che spesso, troppo spesso ci sfugge. Abbiamo avuto paura a confrontarci con l’altro, sia quello che è dentro di noi sia quello che ormai incontriamo ogni giorno sull’autobus, al mercato, alla fila all’ufficio postale. È come se ci fossimo risvegliati bruscamente da un incubo: la paura ancora si confonde con la certezza che si trattava solo di un brutto sogno. Gli anni passano e ci siamo lasciati irretire da promesse di facili guadagni, di facili interventi estetici, che ci sostituissero nei rapporti umani. Nessuno può sostituire il nostro impegno, la nostra responsabilità, la storia, e non solo la cronaca, dipendono anche da noi. Siamo noi a proporre il nostro futuro e a disegnarne il percorso.La delega, nella vita, non funziona. Non possiamo limitarci a commentare i fatti, non siamo commentatori, siamo i protagonisti della storia. È in questa cornice che possiamo inscrivere il nostro impegno di responsabilità e di piacere di sporcarsi le mani, non possiamo estraniarci dalla lotta. Spesso nei momenti dove le sconfitte e le ferite bruciano di più, mi ritrovo a pensare ad Antonio Gramsci in carcere a Turi, alla sua strenua resistenza contro la disperazione, la malattia e il dubbio. Dovremmo leggere più spesso le sue lettere dal carcere: una testimonianza di eccezionale coraggio, portata avanti fino alla fine.

E allora ritengo che un destino così crudele a noi tutti sia stato risparmiato.

Non abbiamo quindi diritto a lamentarci, ma abbiamo il dovere di indignarci, di orientarci, di conoscere, di condividere con gli altri le nostre esperienze. Di raccontare con gli occhi del cuore e la lucidità della mente ciò che vediamo.

La nostra rivista, ci auguriamo, possa contribuire a tutto questo: a mettere insieme non solo esperienze scientifiche, ma approfondimenti, racconti, testimonianze di chiunque abbia voglia di trovare insieme agli altri un cammino, un percorso comune. Per il semplice fatto di avere un’origine comune e di trovarci tutti reciprocamente collegati in un destino unico, in un futuro sempre aperto, anch’esso comune.

International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 2

Volume 1, numero 2, Gennaio/Aprile 2006

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 2

31/03/2006

Sommario

Presentazione rivista Presentation of the journal

Attività dell’Italian Dermatological Hospital
Activity of Italian Dermatological Hospital

Notizie IISMAS / News of IIMASS

ARTICOLI ORIGINALI

Pandemia da HIV/AIDS e Allestimento di Sperimentazioni Vaccinali nei Paesi in Via di Sviluppo
 HIV/AIDS Pandemic – Vaccine Trials in Developing Countries
 Fabrizio Ensoli, Stefano Buttò, Valeria Fiorelli, Barbara Ensoli

Medicina preventiva delle migrazioni: modelli diagnostici a basso costo ed alta efficacia
 Preventive Medicine of Migrations: Low Cost and Highly Efficient Diagnostic Models
 Lorenzo Nosotti, Ottavio Latini, Ugo Fornari, Isa Buonomini, Luigi Toma, Gennaro Franco, Aldo Morrone

Azioni per promuovere il trattamento di ARV in età pediatrica: una sfida per i servizi sanitari di base nei Paesi in via di Sviluppo.
 Il caso Ugandese
Actions to promote ARV treatment in children: a challenge for the basic health services in developing countries. The Ugandan case
 Giuseppe Braghieri, Daniele Cristian Passalacqua, Vincenzo Racalbuto

Evento nascita: analogie e differenze tra donne zingare e donne non zingare
 Analogies and differences in giving birth between gipsy women and non-gipsy women
 Manola Bacchis e Paolo Contu

NEWS a cura di Anna Novara

News – Eventi
 News – Convegni e corsi
 News – Rassegna giuridica
 News – Recensioni libri

Istruzioni per gli Autori / Guidelines for Authors

Leggi la rivista (1,78 MB)

International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 3

Volume 1, numero 3, Settembre/Dicembre 2006

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 3

30/11/2006

Eccomi di nuovo su un aereo verso l’Africa a tentare di mettere a fuoco anni di impegno, di lotta, per condividere con migliaia di persone i loro sforzi per vivere meglio in salute e dignità la loro vita. All’alba, al canto del muezzin ci si alza e si corre verso l’aeroporto: speriamo non abbiano cancellato il volo! No, il volo non è stato cancellato! E’ solo in ritardo. Come sempre. Come sempre tutti sembrano in ritardo rispetto al nostro occidente, alla nostra Europa. Il comandante ha avvisato i passeggeri: mancano i documenti di volo per poter decollare. No problem! Arriveranno.

Mi ricordo che non ho ancora scritto l’editoriale per la nostra rivista, un numero speciale che vogliamo pubblicare in occasione del primo congresso internazionale su “Dermatological care for all: a basic human right” che stiamo tentando di organizzare ad Addis Abeba e a Mekele dal 1 al 4 novembre 2006. Una sfida che donne e uomini di scienza hanno voluto lanciare ad un sistema che “appare” solidale e attento agli altri. Una sfida ad una scienza che “appare” in continua crescita soprattutto verso se stessa, più che verso la condivisione delle sue scoperte. Un congresso internazionale scientifico senza alcuna sponsorizzazione dall’industria farmaceutica. Mission impossible?
 Eppure sono fiducioso perché convinto, come afferma Leonardo Boff nel suo testo “La carezza del creato” che la ragione analitico-strumentale lascia il posto alla ragione-cordiale, all’esprit de finesse, allo spirito di delicatezza, al sentimento profondo. La centralità non è più occupata dal logos-ragione, ma dal pathos-sentimento. Più che il cartesiano cogito ergo sum: penso, dunque esisto, vale il sentio ergo sum: sento, dunque esisto. E sento che tutti insieme, forse potremmo farcela.

Tutto questo correre, impegnarsi dal mattino alla sera, incontri, seminari, workshop, meeting, telefonate, e-mail, ha davvero un senso? Essere affogati dall’emergenza, ci consente di volare in alto? Salvare o meglio “credere o pretendere di salvare” migliaia di vite umane ci può allontanare da un quotidiano assai più vicino e assai più difficile?
Davvero l’Africa ha bisogno dell’aiuto dell’Europa e degli USA, dei paesi cosiddetti industrializzati? Possiamo sentirci per questo “buoni” e “solidali” ? Essere o pretendere di essere buoni, appartenendo al Nord del mondo, può essere possibile? Alberto Maggi e Antonio Thellung nel loro bel libro “La conversione dei buoni” affermano che la sindrome dei buoni sta proprio nel sentirsi dalla parte giusta. Tutti crediamo che i cattivi dovrebbero convertirsi per diventare buoni; invece, secondo il vangelo, tutti, ma proprio tutti, dobbiamo convertirci per diventare figli. Sono un po’ dubbioso sulla divisione in buoni e cattivi dell’umanità. Le nostre società si basano su strutture caratterizzate dai buoni principi, cioè ordine, gerarchia, obbedienza, sottomissione alla legge e a chi la rappresenta. Se il mondo, così come lo conosciamo, è sempre stato nelle mani dei buoni, forse sarebbe ora, visti i risultati, che passasse nelle mani dei “cattivi” .

Sarà per questo che mi sento sempre dalla parte sbagliata, anche su questo piccolo aereo! Sono consapevole di appartenere a una minoranza. Forse dovremo infrangerle le regole che producono, come effetti collaterali fame, miseria, disperazione, guerre, malattie per centinaia e centinaia di milioni di esseri umani. Gran parte di quelli che incontro in questo grande, affascinate e disperato paese.

Oggi è impossibile pensare ingenuamente che la povertà sia un fatto casuale e ignorare le cause del sistematico impoverimento di alcuni gruppi sociali. Tanto più considerando che la nostra società si dice richiamarsi a radici cristiane.

L’esperienza ci ha insegnato che spesso la solidarietà è carica di pericoli e di ambiguità, soprattutto quando non rappresenta una tappa intermedia verso la giustizia. Credo che avremmo più bisogno di persone giuste che solidali.

Finalmente stiamo per decollare. Sembra che siano arrivati i documenti. Un piccolo ritardo di oltre un’ora. Le immagini della città con i suoi ( pochi ) grattacieli e le sue ( molte ) bidonvilles si rimpiccioliscono sempre più. Ho un po’ di paura, come sempre, ma non lo voglio confessare. I fokkers sono aerei piccoli, ad elica, ma forse tra i più sicuri, almeno così affermano gli esperti.

Ritorno alle mie riflessioni. Quando pensiamo all’Africa continuiamo a rappresentarci immagini di miseria, capanne, mosche appiccicate per sempre sul volto dei bambini col naso gocciolante di muco, cadaveri, guerre etniche, malaria, AIDS. Ma è davvero così? C’è dell’altro che non riusciamo a percepire o a scorgere? Sappiamo andare oltre i luoghi comuni? Forse abbiamo dimenticato troppo in fretta i nostri passati legami con questo continente: le diecine di milioni di schiavi, i furti di oggetti d’arte, di risorse geo-minerali e umane. Il commercio degli schiavi, in particolare, non solo uccise e privò della loro umanità milioni di persone, ma distorse in maniera irreversibile lo sviluppo della civiltà africana: famiglie intere furono disperse e numerose società andarono in rovina, aprendo in tal modo le porte all’invasione e alla colonizzazione europea del continente. La folle “corsa all’Africa” cominciò solo negli anni ottanta del XIX secolo, quando l’Europa si impadronì del continente. Nell’arco di tre generazioni, le potenze coloniali se n’erano già andate lasciando una serie di macerie fumanti. Una serie di “paesi” creati arbitrariamente secondo le convenienze degli europei con linee rette o curve, assurde a stabilire confini dove si scontravano gli interessi delle potenze coloniali.

Purtroppo l’Africa non è riuscita a svilupparsi, come avrebbe meritato, perché dagli anni sessanta e settanta, e spesso ancora oggi, furono gli “ esperti ” occidentali a consigliare ai paesi africani le politiche che li avrebbero portati alla catastrofe. Tra il 1975 e il 2005 il P.I.L. pro capite è diminuito del 45% e le esportazioni si sono ridotte di oltre la metà a causa del crollo dei prezzi delle materie prime.

In Africa si stanno rilanciando, seppur con fatica, le moderne tecnologie scientifiche che potranno aiutare alcuni paesi ad avviare un futuro migliore nella capacità che riusciranno ad avere di appropriarsene senza più bisogno di esperti stranieri inviati dai vari governi occidentali, che dicano loro cosa devono fare.

Quando l’economia va male e i governi decidono di tagliare le spese, sanità e istruzione sono di solito le prime a pagare. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è stato ribattezzato da molti medici africani “ Fondo Mortalità Infantile ” poiché essi affermano che dopo le visite del FMI i bambini dei loro paesi cominciano a morire come mosche.

La crisi economica e le politiche imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale (BM), hanno prodotto sul piano sociosanitario un effetto perverso: adesso la gente deve pagare per cure che un tempo, tutto sommato, riceveva gratuitamente. Nessuno è esente, anche nei casi più gravi.

Sotto di me, immensi campi coltivati, macchie verdi e brune che mi ricordano le tute mimetiche dei militari che si trovano in tanti paesi. Quest’anno le piogge sono state abbondanti, anche troppo. Numerose inondazioni hanno ucciso migliaia di persone e migliaia di capi di bestiame. Sembra un destino cinico e barbaro: siccità o alluvioni, e quindi carestie o malaria.

Al congresso abbiamo voluto invitare medici, scienziati e ricercatori impegnati nelle più prestigiose istituzioni scientifiche d’Europa e degli USA a confrontarsi direttamente sul terreno, in trincea, nel vero senso della parola, dove si generano malattie e condizioni socio-ambientali incompatibili con una vita dignitosa.

“Neglected diseases of neglected people” avremmo potuto intitolare il congresso, perché in effetti si tratta di malattie dimenticate e di popoli abbandonati. Ma da chi? E perché?

La scienza può rappresentare un fattore di moltiplicazione del potere costituito dal capitale, oppure strumento di liberazione dei popoli. È quanto ha sempre affermato lo scienziato Giulio Maccacaro. Un certo tipo di scienza ha sempre rappresentato un’espressione del potere politico ed economico. E di scienza è ormai fatto il potere e di potere gli uomini vivono e muoiono. Fare scienza significa sempre lavorare per l’uomo o contro l’uomo ed ogni uomo è oggi raggiunto dalla scienza per esserne fatto più libero o più oppresso. La stessa medicina è andata sempre più adeguandosi alla logica del profitto che non a quella della vita e della salute. Sembra quasi che si studino e si curino solo le malattie che in termini di profitto immediato siano remunerative. Anche in Italia, per gli anziani pensionati a reddito minimo affetti da banali malattie della vecchiaia, non sembra esservi molto spazio nelle nostre moderne istituzioni sanitarie.

E allora nasce forte un sentimento di indignazione, anche perché ci si sente complici di un sistema perverso che non si riesce a cambiare. Indignazione per le ingiustizie, per la forbice fra ricchi e poveri e fra chi nasce in Europa e chi nasce in Africa subSahariana. Indignazione perché loro sono senza futuro e soprattutto senza dignità e senza voce. L’indignazione non è fuori moda, o inutile. Se riesce a lasciare spazio alle emozioni e alla tenerezza dei rapporti, può condurre verso un impegno profondo e maturo. Credo che le emozioni, il pathos, la tenerezza che emerge nell’atto stesso di esistere con gli altri nel mondo, possa rappresentare più che una semplice speranza. Non siamo mai soli, né esistiamo, co-esistiamo, con-viviamo e siamo in com-unione con le realtà apparentemente più lontane.

Blaise Pascal ha introdotto una importante distinzione per aiutarci a comprendere la cura e la tenerezza: l’esprit de finesse l’esprit de géometrie L’esprit de finesse è lo spirito di finezza, di sensibilità di cura e di tenerezza. L’esprit de géometrie è lo spirito calcolatore e attivista interessato all’efficacia e al potere. Da qui mi sembri che passi la linea rossa tra sviluppo compatibile e disperazione esistenziale.

Stiamo per atterrare. Il comandante conferma che tutto va bene. Il tempo a terra è buono e la temperatura è di 21 gradi. Yemanè, Margherita e Maria Concetta dovrebbero essere all’aeroporto ad aspettarmi. Senza di loro… senza Daniela, Francesco, Beppe, Luigi, Ottavio, Anna, Gennaro, Isa, Valeska, Silvana, Ugo, Nando, Rita, Paola, Massimo, Alessandro, Tedros, Terrace e Barnabas… e gli innumerevoli collaboratori e amici… non avrei potuto guardar le stelle e accorgermi che sorridono benevole dei nostri tentativi di comprendere la bellezza, attraverso il volto dell’altro, dei più impoveriti ed esclusi. Grazie a tutti

Scritto a mano, il 18 ottobre 2006, durante il volo ET100 delle ore 7.10 da Addis Abeba a Mekelle.

Leggi la rivista (1,31 MB)

International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 4

Volume 1, numero 4, Gennaio/Aprile 2007

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 4

31/03/2007

Sommario

Presentazione rivista Presentation of the journal

ARTICOLI ORIGINALI

L’arte di vivere e morire di cancro, l’approccio olistico
Facing death in cancer patiens. a multicultural approach
 Alberto Pietrangeli

Bioetica e immigrazione: il caso della circoncisione maschile rituale in Italia
Bioethics and immigration: the case of male ritual circumcision in Italy
 F. Viviani, S. Malaguti, P. Grassivaro Gallo

Una famiglia “allargata” sudanese si oppone alla Circoncisione Femminile.
 Analisi dell’iniziativa di superamento della C/F
Sudanese local initiative against infibulation
 Nagla Dawelbait, Pia Grassivaro Gallo, Marianna Pappalardo

ARTICOLO DI APPROFONDIMENTO

Violenza sui minori in Sri Lanka: un progetto di protezione realizzabile
 Child abuse in Sri Lanka: a feasible action
 Guido Puletti

“Mille modi per crescere”: un progetto di formazione per il personale degli asili nido del Comune di Roma.
“A thousand ways to grow”: a training project for professionals working in the nursery schools of the Municipality of Rome
 Paola Scardella, Aldo Morrone, Laura Piombo

NEWS

News – Eventi
 News – Convegni e corsi
News – Rassegna giuridica – a cura di Anna Novara
News – Recensioni – a cura di Eugenia Marino

Istruzioni per gli Autori / Guidelines for Authors

leggi la rivista (1,14 MB)

International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 5

Volume 1, numero 5, Maggio/Dicembre 2007

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 5

30/11/2007

Editoriale Aldo Morrone

SCIENZA E AFRICA

Perché un congresso in Africa? E Perché proprio in Etiopia?

L’Etiopia rappresenta un Paese di grande cultura e storia. Lucy il primo ominide ritrovato è lì a ricordarci la nostra origine africana. Axum e Lalibela sono un’altra grande espressione architettonica, culturale e storica dell’Etiopia. Eppure lo sviluppo economico e scientifico degli ultimi secoli, non sembra abbia tenuto in alcun conto la grande civiltà axumita e poi etiopica. La regina di Saba e re Salomone sono passati invano: una straordinaria leggenda che non sembra aver lasciato tracce nello sviluppo del Paese.

Si tratta di un caso isolato? Oppure riguarda tutta la storia dell’Africa? Perché lo sviluppo economico e soprattutto quello scientifico sembrano ignorare l’Africa, se non come contenitore di ricchezze da rapinare, come è stato per troppi anni?, addirittura secoli?

Abbiamo voluto lanciare una sfida al mondo della ricerca scientifica al quale ci sentiamo di appartenere a pieno diritto, anche se accogliamo, curiamo e studiamo una popolazione estremamente eterogenea composta di immigrati regolari e irregolari, donne vittime della tratta della prostituzione, zingari, pensionati a reddito minimo, richiedenti asilo politico, rifugiati e vittime di tortura. Siamo convinti che lo sviluppo scientifico debba innanzitutto svilupparsi a partire dai bisogni di queste popolazioni e allargarsi al resto del mondo. Ma ogni giorno appare sempre più eclatante una crisi della scienza moderna che non è capace di rispondere al nuovo paradigma di un mondo globalizzato, a partire dalle esigenze del Sud. La nostra è ancora una scienza sviluppatasi all’interno del Nord, con i suoi limiti e zone d’ombra.

Lo sviluppo della scienza nei suoi rapporti con la natura è una delle caratteristiche principali della civiltà moderna occidentale. I suoi fondamenti teorici e i suoi rapporti con la tecnica hanno influito notevolmente sulle condizioni di vita umana sulla terra. La scienza e la tecnica moderna hanno consentito all’umanità di soddisfare i suoi bisogni fondamentali: alimentazione, abitazione, lavoro, salute, trasporti, giochi, attività sportive e cultura. Fin dall’inizio, però, questi aspetti positivi sono stati accompagnati da limiti evidenti, perché la distribuzione del benessere ha escluso le grandi maggioranze. Storicamente, la scienza moderna è legata sia alla produzione di beni che promuovono la vita sia a un’economia di morte perché genera l’esclusione dei deboli e produce le armi che sono strumenti di morte.

Sarebbe un’ingenuità invocare la supposta “neutralità” della scienza, perché anche lo scienziato e il ricercatore sono “corpi pensanti”. Perciò, la loro attività intellettuale e tecnica è necessariamente condizionata dalle emozioni del proprio corpo e dalle situazioni sociali e politiche in cui ognuno vive e lavora attraverso la propria corporeità. Si può quindi affermare che, nata al servizio dell’uomo per dominare la natura attraverso la tecnica, la scienza moderna è stata dominata dalla tecnologia e dagli interessi economici e politici.

La concezione del mondo e della natura sottesa a questi processi storici è un prodotto della rivoluzione scientifica verificatasi tra il Cinquecento e il Seicento. Essa ha preso l’avvio dalla fisica meccanicistica di Galileo e Newton ed è stata completata da Bacone, con la sua ideologia del sapere come insieme di esperimenti per il controllo e il dominio della natura, e dal determinismo deificante e oggettivante di Cartesio. Questa scienza ha cercato di distruggere i presupposti delle vecchie concezioni prescientifiche caratterizzate dalla concezione della natura come organismo, avvolto nel mistero, con una sua vitalità e interiorità, verso il quale uomini e donne avevano un atteggiamento di rispetto e di timore, vissuti anche attraverso l’animismo e la magia, certamente con conseguenze positive e negative. La nuova scienza rifiuta questa concezione della natura come organismo e la sostituisce con una concezione della natura come grande macchina che obbedisce a leggi “naturali”, matematiche e meccaniche, che l’uomo deve conoscere con chiarezza e precisione per dominarla. Un dominio gestito dai maschi, che considerano la donna vicina alla natura come organismo vitale e pieno di mistero, di emozione e desideri, che essi cercano di controllare e dominare, trasformando la donna stessa in una risposta inesauribile da sfruttare e da sottomettere alle fredde e razionali leggi maschili.

Cartesio insegnava che il nostro intervento sulla natura ha lo scopo di rendere l’uomo ” maitre et possesseur de la nature “. Bacone affermava che dobbiamo ” assoggettare la natura, costringendola a cederci i suoi segreti, legarla al nostro sevizio e farla nostra schiava “. Si è così creato il mito dell’essere umano come eroe scopritore e colonizzatore, Prometeo indomabile, con le sue opere faraoniche. (Boff 1995)

Per Cartesio le piante e gli animali sono macchine del tutto prive di ogni interiorità. Ciò ha contribuito a tacitare gli scrupoli morali riguardo agli esperimenti sugli animali. Il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa considera la natura come una realtà quantificabile e matematizzabile. Si arriva a sostenere come dogma della tradizione cartesiana che ciò che non è quantificabile non ha neppure una vera e propria esistenza. Questa codificazione priva il rapporto con la natura di qualsiasi dimensione emotiva. Ciò ha portato con sé il soggiogamento brutale della natura, non solo di quella esterna ma anche di quella interna alle donne e agli uomini, in quanto esseri corporei. Pertanto, l’intreccio tra le scienza naturale e la tecnica, che data dalla rivoluzione tecnologica iniziata centocinquanta anni fa, ha investito il dominio della natura, ed è stata una sconfitta dell’essere umano. Perché il dominio matematicamente perfetto e non emotivo sulla natura significa anche dominio maschile sulle donne e sugli uomini. In particolare, per ricordare uno dei settori più importanti, basti pensare che, come afferma Hoesle, “i danni arrecati alla medicina dal pensiero cartesiano sono inestimabili”.

La suprema ironia dei nostri giorni è esattamente questa: la volontà di dominare su tutto facendo di noi dei dominati a assoggettatati agli imperativi di una Terra degradata. L’utopia di migliorare la condizione umana ha peggiorato la qualità della vita. Soprattutto la volontà di migliorare la vita di pochi ricchi a scapito di molti. Il sogno di una crescita illimitata ha prodotto sottosviluppo dei due terzi dell’umanità.

Alcuni credono al potere messianico della scienza e della tecnica e si dice che esse possano danneggiare, ma anche riscattare e liberare. Di fronte a questo dobbiamo però riflettere seriamente: l’essere umano rifiuta di essere sostituito dalla macchina, anche quando vede i vantaggi di un processo che risponde alle sue necessità fondamentali. Egli non possiede soltanto delle necessità fondamentali da soddisfare. Egli è dotato di capacità che vuole esercitare e manifestare in modo creativo. Non vuole solo ricevere il pane, ma anche aiutare a produrlo in modo da affermarsi come soggetto della propria storia. Ha fame di pane ma anche di partecipazione e bellezza, cose che non sono unicamente garantite dai mezzi di tecnoscienza.

Vi è chi dice: il cambiamento di rotta è meglio per noi, per tutti noi, per l’ambiente e per il complesso delle relazioni umane, per il destino comune di tutti   e per la garanzia di vita delle generazioni future. A tale scopo si devono però introdurre correzioni profonde e anche trasformazioni culturali, sociali spirituali e religiose oltre che politiche. E’ su questa risposta/proposta che punta tutto il movimento di pensiero vicino ai punti di vista del sud. E’ questo cammino che le nostre riflessioni vogliono rafforzare.

In altri termini, dobbiamo entrare in un processo di mutamento di paradigma.

Gli scienziati che, seguendo più o meno consapevolmente la tradizione cartesiana, hanno matematizzato le scienze della natura pretendono ancora oggi di matematizzare le scienze umane, sociali, economiche, storiche e psicologiche. Tuttavia, se da una parte la tecnologia ha liberato l’uomo dalla natura, dall’altra lo vincola a sé creando sempre nuovi bisogni o metabisogni, in una corsa illimitata: da un bisogno nasce un altro bisogno e così via all’infinito. D’altronde, questa spinta alla crescita, che è il motore dell’attuale modello di sviluppo, comincia a dare segni di cedimento dimostrando che si è trattato di un mito che oggi produce effetti ecologicamente negativi. Infatti, la Terra come scrive Hoesle “non è più in grado di assorbire una quantità indiscriminata di artefatti creati per la soddisfazione di singoli bisogni, generati essi stessi in modo artificiale” . Essa non è più capace di sopportare il peso di quei meccanismi che la considerano come oggetto o risorsa inesauribile. Non basta quindi la matematizzazione cartesiana delle scienze e delle tecnologie per rendere possibile un tipo di civiltà che risponda ai bisogni primari dei singoli e dei popoli.

La loro reificazione e mercificazione può anzi portare con sé la distruzione della natura e degli uomini, delle donne e dei popoli.

La crisi della scienza e della tecnologia   ha messo fortemente in questione questo tipo di civiltà, con particolare riferimento alla loro incapacità   di assumere il senso dei limiti della natura che la scienza non aveva mai sospettato.

In particolare questa crisi appare evidente quando si esaminano i rapporti Nord-Sud. Essa non è stata capace di organizzare un modo di produzione che avesse come base una solidarietà comune per cercare insieme le risposte ai problemi di tutti. Inoltre, non ha saputo bloccare l’ingiusta accumulazione di tre quarti della ricchezza nei paesi del nord, che sono un quarto della popolazione mondiale. Ha creato un’organizzazione coloniale basata sulla divisione tra le grandi maggioranze (90%) escluse e i settori dominanti (10%), cui il Nord offre uno standard di vita simile al proprio con il compito di bloccare e nascondere le possibili ribellioni delle persone emarginate e impoverite. Ha organizzato la produzione e il commercio delle armi per aiutare i settori dominanti a bloccare, anche militarmente, le ribellioni degli esclusi e per organizzare in proprio gli interventi militari e cosiddetti “umanitari” nei paesi del sud. Il trasferimento di tecnologie non adatte alla realtà e all’organizzazione sociale dei singoli paesi colonizzati ha creato disagio e sofferenze a livello socio-economico e culturale. La colonizzazione dell’immaginario ha imposto la cultura dell’Occidente, provocando il blocco e la distruzione delle culture autoctone, mostrando così la razionalità escludente della cultura e della scienza moderna.

Ricordiamo che, a partire dall’Ottocento e poi nel Novecento, sono esistite altre riflessioni filosofiche sul rapporto tra scienza e natura che si riferivano alla tradizione cartesiana per criticarla. Di fatto, esse non hanno avuto un impatto consistente sullo sviluppo della tecnologia moderna, ma sono state recepite e riformulate nella ricerca di un nuovo tipo di scienza. Superata la rigidità della reificazione e della quantificazione del metodo cartesiano, secondo Marcello Cini si sta passando dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi.

Si deve osservare che la scienza e la tecnica moderna hanno suscitato grandi speranze. Per molti anni, in base alle scoperte e ai progressi della scienza, si è ripetutamente affermato che la scienza e la tecnologia avrebbero risolto tutti i problemi dell’umanità. Ancora oggi è molto diffuso il concetto secondo cui ” la tecnologia aggiusterà tutto “. Si tratta in realtà di un’ideologia. Le scoperte dell’umanità sono sempre provvisorie, relative, con limiti più o meno palesi. Il paradiso che la scienza prometteva non è mai stato raggiunto. Perciò, si riconosce più facilmente che la scienza non può essere neutrale e non può sfuggire ai giudizi dell’etica e pensare se stessa come unico criterio. Va ricordata la situazione della bioetica e quella del rapporto tra l’etica e la ricerca scientifica sugli armamenti, strumenti di morte, al servizio di una economia di morte. Si pensi a una bioetica che non riesce a garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini del mondo indipendentemente dalle loro categorie d’appartenenza. Si pensi ancora che la maggior parte dei risultati delle ricerche e delle scoperte scientifiche sino ad oggi ottenute, sono utilizzate solo da una parte minima degli esseri umani. I bambini dei PVS ancora muoiono per diarrea, mentre nel nord si riescono a trapiantare più organi contemporaneamente.

Avviare la ricerca in questa direzione richiede un dibattito e un chiarimento sulla conoscenza. Si sta superando oggi la concezione della conoscenza come insieme di idee chiare e distinte. È necessario recuperare il senso del limite, in ” uno spirito di demistificazione delle leggi e dei principi della razionalità, per arrivare ad assaporare tutta la ricchezza e la complessità della vita “. Si tratta inoltre di riconoscere il valore intellettuale dell’emozione e dei desideri degli uomini e delle donne, in quanto corpi pensanti, cercando di uscire dalla logica dell’incontro/scontro tra forza e debolezza: come sottolinea Baker: ” Laddove la forza impone e la debolezza soccombe, la dolcezza apre le braccia. La dolcezza è tolleranza, è senso della misura, è attenzione alle sfumature. La dolcezza fa passi leggeri, si guarda intorno, beve la vita. La dolcezza ha un senso del limite, non spinge a fare cose a tutti i costi. La dolcezza è fragilità, e questa fragilità è la sua garanzia “. In un momento di confusione e caos, di caduta delle ideologie, si deve riconoscere che “ogni atto creativo è sempre prodotto di un processo caotico”

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International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 6

Volume 1, numero 6, Gennaio 2008

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 6

30/01/2008
POVERTÀ E SALUTE

“ Le condizioni sociali in cui le persone vivono influenzano in maniera preponderante le loro probabilità di essere in buona salute. Infatti fattori quali povertà, esclusione e discriminazione, condizioni abitative povere, condizioni non sane dell’ infanzia e basso livello occupazionale sono determinanti importanti nella maggior parte delle malattie, dei decessi e delle diseguaglianze di salute fra e all’interno dei paesi “(WHO, 2004).

Nei paesi ad alto e medio reddito appartenenti alla regione europea dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le aspettative di vita e la possibilità di vivere una vita sana sono ancora collegati strettamente a fattori socioeconomici dell’ individuo e delle famiglie. Le disuguaglianze in salute sono sia ingiuste che evitabili, in quanto sono causate da politiche pubbliche non adeguate e da stili di vita influenzati da fattori strutturali inadeguati (1).
Tali fattori contraddicono il principio fondamentale dell’uomo rappresentato dal “diritto di raggiungere il livello più elevato di salute fisica e mentale” (2). Migliorare lo stato di salute dei gruppi socio-economicamente meno privilegiati al livello già raggiunto dalle persone più privilegiate dovrebbe quindi essere una dimensione chiave di tutte le politiche sanitarie internazionali, nazionali e locali. L’importanza di migliorare la salute in generale e
di migliorarla nei gruppi a basso reddito in particolare, è ancora un’urgenza più grande nei paesi della centrale e l’Europa Orientale (CCEE) ed all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti (NIS).
Le organizzazioni internazionali, quali l’OMS, da tempo sono impegnate nel promuovere e sostenere gli sforzi per ridurre le ingiustizie sociali nella salute. Esempi recenti sono la Commissione sui Determinanti sociali di salute ell’OMS
(3), contributi alla Carta di Bangkok sulla Promozione della Salute in un Mondo Globalizzato (4) e nell’ istituzione del nuovo Ufficio Europeo dell’OMS per gli Investimento per Salute e lo Sviluppo con sede a Venezia (5).
L’equità nella salute è considerata come un valore fondamentale in 34 delle 40 linee politiche sulla salute sviluppate nei diversi paesi della regione europea dell’OMS, come pure nella Carta di Bangkok sulla Promozione della Salute in un Mondo Globalizzato. La povertà limita severamente la possibilità di una vita sana ed è ancora in alcuni paesi europei una causa importante di scarsa salute e in particolare di ingiustizie nell’accesso ai servizi sanitari. La salute può anche essere una causa importante di impoverimento, poiché può portare a una voce di spesa ingente in una famiglia, spingendo le famiglie e gli individui in ulteriore povertà. Per contro, il miglioramento della salute può
essere un requisito preliminare per poter migliorar l’educazione e il livello lavorativo. Sono principalmente 3 i rapporti esistenti tra povertà e salute: povertà come causa di scarsa salute, salute scadente come causa di povertà e miglioramento della salute come riscatto della povertà.

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International Journal of Migration and Transcultural Medicine – n. 7

Volume 2, numero 7, Aprile 2008

International Journal of Migration and Transcultural Medicine - n. 7

29/04/2008

Sommario

ARTICOLO DI APPROFONDIMENTO
Inaugurazione del Nuovo Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (INMP)

Le procedure sanitarie europee per il rilascio del permesso di soggiorno in favore di cittadini extracomunitari e possibilità di cura per gli irregolari Stefania Ricci Pag. 380

ARTICOLO ORIGINALE
Diffusione e caratteristiche del ricorso all’IVG tra le donne straniere in Italia Foreign women in Italy turning to voluntary interruption of pregnancy (VPI): extent and characteristics M. Stranges Pag. 392

Le diversità culturalmente determinate percepite dall’operatore sanitario nell’incontro con la paziente straniera E. Beretta, E. Zanotti, I. Boghi, B. Vezzani, C. Groli, T. Frusca Pag. 407

Il fluconazolo in ambito dermatologico Fluconazole in the dermatological field F. Gennaro, R. Calcaterra, A. Morrone Pag. 417

NEWS
News – convegni e corsi – a cura di Anna Novara Pag. 426
News – rassegna giuridica – a cura di Anna Novara Pag. 428
Istruzioni per gli autori Pag. 431

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