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Primo congresso

Il Primo Convegno Scientifico Internazionale, organizzato in Etiopia dall’Istituto Internazionale Scienze Mediche Antropologiche Sociali (IISMAS) Onlus in collaborazione con la Struttura Complessa di Medicina Preventiva delle Migrazioni, del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto San Gallicano di Roma e con il supporto dell’International Society of Dermatology (ISD), ha riunito ricercatori e clinici provenienti da USA, Messico, UK, Francia, Svezia, India, Germania, Kenya, Etiopia e Italia.

L’inaugurazione del congresso si è svolta ad Addis Ababa il 1° novembre, alla presenza delle autorità sanitarie Etiopi ed Italiane che hanno incoraggiato i partecipanti a continuare la strada   di stretta cooperazione intrapresa con le popolazioni più bisognose. Il 2 novembre i partecipanti si sono trasferiti a Mekele per la sessione clinica presso l'”Italian Dermatological Centre IISMAS”. Durante i due giorni   di lavoro sono stati esaminati pazienti e discussi casi clinici.

L’obiettivo principale del convegno è stato quello di analizzare e confrontare due diversi modelli di Sistema Sanitario e di Ricerca Scientifica.

I Paesi ricchi producono la stragrande maggioranza del cosiddetto “sapere scientifico” e possono spendere, per tutelare la salute dei cittadini, cifre che sono migliaia di volte più alte di quelle disponibili nei Paesi Poveri. In Etiopia, per esempio, il Sistema Sanitario ha a disposizione solo 7 dollari all’anno per ognuno dei suoi 76 milioni circa di abitanti. Se le risorse economiche disponibili per la salute dei cittadini più poveri sono ridottissime, quelle per la ricerca scientifica ed epidemiologica sono praticamente assenti. In molti Paesi dell’Africa Sub-Sahariana, Etiopia compresa, non è ancora possibile stabilire con certezza la prevalenza dell’infezione da HIV/AIDS così come quella di molte altre malattie infettive, alcune delle quali vengono anche tristemente definite come “malattie dimenticate” : Malaria, Lebbra, Morbillo, Diarrea, Tubercolosi, Difterite, Tetano, Poliomielite, Leishmaniasi, Tripanosmiasi, Oncocerchiasi e molte altre. Queste malattie provocano la morte di circa 20 milioni di adulti e bambini ogni anno nel mondo e rappresentano la principale causa di perdita di produttività (decine di miliardi di dollari all’anno) dei cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo (PVS).

In questo scenario i partecipanti hanno dibattuto in particolare sui seguenti aspetti:

  • In che modo e attraverso quali mezzi si possono migliorare le possibilità di diagnosticare, curare e prevenire tali patologie nei PVS ?
  • È conveniente dal punto di vista economico e sociale investire per ridurre la mortalità da malattie infettive e migliorare il livello di salute globale nel nostro pianeta ?
  • Qual è il rapporto tra salute e sviluppo economico che può essere implementato grazie alla cooperazione internazionale con Istituti Scientifici come il San Gallicano?
  • Esistono delle linee guida per gli interventi sanitari nei PVS che permettano di misurare non solo gli esiti clinici dell’intervento stesso, ma anche il miglioramento strutturale dell’offerta sanitaria che i PVS sono in grado di offrire?

Sebbene non si possano dare risposte definitive a queste domande, sono state comunque elaborate alcune proposte che meritano l’attenzione del mondo scientifico internazionale, dei Sistemi Sanitari dei Paesi ricchi, delle aziende farmaceutiche e dei governi occidentali interessati ad affrontare con   politiche virtuose i fenomeni migratori.

Il principale risultato nuovo emerso dal confronto,   è stato la proposta di un nuovo modello di cooperazione scientifica, clinica e formativa rivolta ai sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo: è stata denominata Community Dermatology International (CDI).

Il contenuto principale di questo modello risiede nella implementazione di centri di ricerca scientifica, clinica e formativa, sostenuti da prestigiose istituzioni di ricerca del mondo occidentale, che si inseriscano entro i sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo, coordinando strettamente la loro attività con quella delle autorità sanitarie locali. Si tratta di evitare l’effetto “corpo estraneo” ovvero quello di strutture sanitarie gestite da ricercatori occidentali, magari anche di alto livello scientifico, che sono avulse dal contesto di programmazione sanitaria del paese ospite: quando per qualsiasi motivo (fine di progetti di ricerca, scarsità di fondi, problemi politici, ecc.) queste strutture non sono più operative al sistema sanitario del paese in via di sviluppo non rimane nulla.

Il coordinamento con la programmazione sanitaria locale sta diventando un requisito obbligatorio nelle nuove iniziative di cooperazione sanitaria internazionale del nostro paese, in tal modo si cerca di imparare dagli errori commessi nel passato:   le “cattedrali nel deserto sanitario” sono disseminate in molti paesi in via di sviluppo.

Uno degli elementi centrali del coordinamento risiede nella necessità di prevedere, accanto all’attività di ricerca scientifica e clinica, un intenso lavoro di formazione attiva del personale medico ed infermieristico locale e di formazione di nuove figure professionali inesistenti in Europa, come gli Health officers, i Community Health Workers, i Community Health Exestension Workers e i Primary Health Workers. Questi operatori sanitari che apprendendo nel corso del lavoro clinico nelle strutture con il supporto di esperti internazionali, ed anche a distanza utilizzando i moderni mezzi della telemedicina, possono arricchire le risorse umane del sistema sanitario locale: uno degli elementi di debolezza strategica di molti sistemi sanitari nei paesi in via di sviluppo. Si tratta contemporaneamente di combattere il fenomeno della “fuga dei cervelli” (Brain Drain) dai paesi in via di sviluppo: i professionisti qualificati che se ne vanno in occidente rappresentano una perdita economica e professionale spesso pesantissima per questi fragili sistemi sanitari.

Un altro elemento strategico del coordinamento è l’adattamento dei percorsi diagnostico-terapeutici proposti dai centri di cooperazione sanitaria internazionale al contesto strutturale del sistema sanitario locale: occorre proporre indagini diagnostiche, uso di apparecchiature e di farmaci che siano sostenibili economicamente e tecnologicamente in loco.

Il terzo elemento strategico è l’attività di ricerca scientifica e farmacologica sulle molte “malattie   dimenticate” che affliggono le popolazioni dei paesi in via di sviluppo: per molte di queste patologie che provocano morti, invalidità e relativi alti costi economici non esistono terapie adeguate per mancanza di profittabilità degli investimenti in ricerca scientifica e farmacologia.

Al termine del Congresso, i partecipanti hanno concordato di fondare una Società Dermatologica, “Community Dermatology International”, che si pone come obiettivo di fornire e diffondere, nei paesi poveri, cure dermatologiche e formazione sanitaria sul campo, individuando la “migliore tecnologia a basso costo” disponibile.